Poco timore reverenziale e un finissimo talento di giardiniera per far rinascere il verde di una antica proprietà di famiglia.
Ha cinquant’anni smaglianti, le motivazioni imprenditoriali di una trentenne che sta costruendo il proprio futuro, la carica di una donna che ha trovato la dimensione nella quale realizzarsi. Christiane Ramsay Scicluna Pergola appartiene ad una famiglia internazionale: inglese e francese il padre, che fu capitano di corvetta al servizio della corona inglese; siciliana e maltese la madre, discendente di una famiglia che ha lasciato il segno nella storia di Malta. E in questa nazione del Mediterraneo lei è tornata dopo aver vissuto a Parigi, in Inghilterra e a lungo a Roma, dove ha incontrato il marito coreografo ed è diventata madre. Un bel giorno del 1998 ha deciso di trasferire la famiglia al completo nella cittadina maltese di Naxxar, nella casa accessoria in fondo alla proprietà degli avi da tempo in abbandono. Con l’impegno di restituire alla storia il palazzo monumentale e relativo giardino, applicando questa filosofia: «Per riappropriarsi delle proprie origini sono essenziali due cose: non troppo timore reverenziale e un po’ di sense of humor». E per partire ha reso omaggio alle capacità, mortificate dai tempi, della nonna Violetta, baronessa maltese andata sposa all’uomo d’affari John Scicluna, il nonno che come banchiere introdusse gli assegni sull’isola e come imprenditore diede il proprio soprannome – Cisk – ad una birra lager che a Malta è tuttora la più popolare.
Il racconto dei muri
A questa signora che indossa con stile il titolo di dodicesima baronessa di Tabria piace vedersela con i muri, suo cruccio e delizia. Su uno è murata la lapide, datata 1733, che ricorda la posa della prima pietra per la residenza di campagna del governatore Marroel de Vilhena, ampliata dalla famiglia Parisio a fine Settecento per usi di caccia e nel 1898 acquisita dai Scicluna. I muri di Palazzo Parisio narrano l’impegno dell’armatore, banchiere e filantropo di origine siciliana Giuseppe Scicluna a trasformare la casa in residenza signorile, con marmi, stucchi, affreschi, mobili, specchi, tendaggi messi in opera da maestranze e artisti italiani. Sono per esempio di Carlo Sada, che ha legato il nome al Teatro Bellini di Catania, le sfavillanti decorazioni della sala da ballo e quelle in stile pompeiano della sala da pranzo, con il ritratto affrescato di fanciulle del luogo. Christiane, sensibile ai segni, racconta che un giorno, mentre erano in pieno fervore i lavori di restauro, al portone del palazzo ha bussato una donna novantaquattrenne del villaggio chiedendo di potersi rivedere da giovane, immortalata in uno di quei medaglioni. «Questo è partecipare dal vivo alla storia» commenta. La sua ambizione stava più o meno da quelle parti, stretta tra Napoleone e tutti quei muri da tenere in piedi e valorizzare. Addentrandosi nella loro storia, ha sentito di appartenere al luogo: «Sono fiera dello spirito innovatore dei miei avi: questo è stato il primo palazzo dell’isola ad avere un generatore di corrente a vapore, appositamente fabbricato a Manchester e, sotto ai giardini, una immensa cisterna per l’irrigazione. Adesso però tocca a me fare la parte che mi compete».
Rampicanti come destino
I muri raccontano solo a chi sa farli parlare e vibrare. Christiane con i suoi ci è riuscita. Quasi un chilometro di muri nudi in arenaria, a delimitare la proprietà e a dividere due vasti giardini, uno formale all’italiana all’ombra del palazzo e, in fondo a questo, un altro perpendicolare, con un agrumeto, una grande vasca d’acqua, palme secolari, siepi e una moltitudine di alberi e arbusti adulti. Alcuni sono così rari che nello stilare l’elenco floristico non si è ancora riusciti a classificarli.
Christiane parla di un incontro fortunato e decisivo: «Durante un tour in Sicilia sono arrivata per caso in un vivaio di Calatabiano, in provincia di Catania, dove una coppia di ibridatori mi ha folgorata con la sua collezione di bugainvillee e ibischi. Ho capito che cosa volevo realizzare nel mio giardino». Dodici varietà di buganvillee, con fiori rosa, bianchi, gialli, arancioni, porpora, violetti hanno scalato i muri e suggerito l’uso di altri rampicanti da clima mite. Copre il portale di passaggio tra i due giardini un profumatissimo gelsomino del
Madagascar (Stephanotis floribunda). Vigoroso sino a diventare aggressivo, il rampicante Doxantha unguis-cati, che fiancheggia il coffee shop al piano terra del palazzo, fiorisce con discrezione in giallo e poi produce lunghi frutti ricurvi e appuntiti come artigli. I rosa di Pandorea jasminoides e di Antigonon leptopus si mescolano all’azzurro di Plumbago capensis e di Thunbergia grandiflora. In tutte le stagioni alla base dei muri fiorisce qualcosa: margherite, lantane, bulbi, rudbeckie, persino una piccola viola del pensiero che si
dissemina da sola e per Christiane è la prova che su tutto veglia la nonna Violetta, a cui deve l’intraprendenza e la voglia di fare.
Per ultimo, l’orto
Ricondotto all’ordine formale il giardino all’italiana che si ammira in tutta la sua ariosa geometria quando ci si affaccia dalla terrazza al piano nobile del palazzo, si è occupata della grande orangerie lungo un lato di confine, perché ritornasse ad essere scrigno di begonie, felci esotiche, spatifilli, kenzie, dracene. Sono impegno del giardiniere Charlie, mentre Ezechiele, Franz e Raymond si occupano della manutenzione generale e delle nuove introduzioni nell’altro giardino. Solo mettendo ordine nella selva che si era creata tra le piante secolari, si è potuto incrementare le varietà nella collezione storica di agrumi e creare ex novo quella di Hibiscus rosa-sinensis, ormai oltre 60 ibridi che in piena estate conferiscono ad alcune aiuole un aspetto voluttuoso e accecante. La terra sotto a quasi tutte le piante è sempre zappata di fresco perché la proprietaria ama il gioco di pieni e di vuoti e dichiara: «Mi affascina la terra che sembra appena arata».
La terra si conserva nera e grassa con una manutenzione esemplare di stampo anglosassone, che prevede anche una zona dedicata a ospedale delle piante e un’altra di compostaggio. Qui si trasformano in humus le fronde di palma e i fiori appassiti di datura e jacaranda, le foglie di quercia e di Strelitzia augusta, i frutti di melograno e di feijoa, gli scarti di potatura delle siepi di Murraya paniculata, bosso e tevezia. Per gratificare una giardiniera talentuosa, le esibizioni di bellezza che il giardino ha regalato diventano terra fertile, destinata a pacciamature, rinvasi e ad un delizioso orto nascosto da alte mura rimaste scabre. Christiane ha uno sguardo allusivo: si direbbe che, dopo aver dato all’ufficialità della storia ciò che le era dovuto, la sua prossima mossa sarà un orto all’altezza.