Natura d’autore. Il parco Monte Oro

da Gardenia

Il paesaggio è quello del Cusio, tra i più dolci e suggestivi d’Italia: zona del lago d’Orta nel Piemonte Nord Occidentale, tra Valsesia e lago Maggiore. La scena, vista dal borgo di Ameno, sembra dipinta da un maestro dell’epoca romantica; dai fitti boschi collinari che si estendono a perdita d’occhio emerge enfatica e solitaria sulla cima di un’altura una costruzione imponente, una villa solida e molto articolata di gusto ecclettico novecentesco. Entrambe, villa e collina, si chiamano Monte Oro, forse in omaggio ai grappoli dorati che in passato maturavano nelle vigne ben esposte e riparate di queste pendici. Al posto dei filari ordinati, su un’estensione di 240.000 metri quadrati, un secolo fa è stato realizzato un parco che stringe la villa prima in un abbraccio lento di tappeti erbosi e di aiuole circolari, poi in un crescendo sempre più stretto di alberi maestosi e pregevoli, per mimetizzarsi infine lungo i confini con i boschi spontanei di faggi e castagni della vallata.
Era il 1896 quando il conte Gaudenzio Tornielli, personaggio colto e solitario di un’antica famiglia nobile di Ameno, decise di iniziare i lavori di costruzione della propria residenza di campagna. Affidò il progetto al giovane architetto torinese Carlo Nigra, che già conosceva la zona come villeggiante e come studioso delle architetture fortificate della provincia novarese e lo affiancò costantemente nelle scelte che in corso d’opera il suo carattere perfezionista e sognatore gli andava suggerendo. Spianato il culmine dell’altura, in trent’anni di lavori prese forma l’edificio a forma di L, su tre piani con tanto di torre belvedere, nel quale furono mescolati con vertiginosa abilità e gusto per le citazioni dotte gli stili di cinquecento anni di architettura italiana. Non era nostalgia del passato, tant’è vero che furono adottate tutte le innovazioni tecnologiche a quel tempo d’avanguardia, in particolare per garantire il comfort degli interni.
Fuori, per l’intera estensione della collina, il paesaggio venne ridisegnato con segni forti e con mano leggera allo stesso tempo. Tornielli, esperto estimatore del regno vegetale come delle belle lettere, era in bilico tra due sentimenti. Da una parte fece propri gli stilemi paesaggistici tardo romantici, gli stessi di molti parchi d’interesse botanico-paesaggistico creati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento attorno ai laghi prealpini. Ricercò e fece piantare le essenze rare provenienti da tutto il mondo, soprattutto conifere, che da alcuni decenni ammaliavano i ricchi europei per il loro aspetto esotico, per le dimensioni ragguardevoli, per la storia botanica curiosa: Sequoiadendron giganteum, Sciadopitys verticillata, Cupressus macrocarpa, Juniperus virginiana, e poi araucarie, magnolie, salici piangenti, aceri giapponesi, azalee e rododendri. D’altro canto, scelse le varietà di nuova selezione degli alberi che crescono spontanei nella zona, in modo che nell’intervento si potesse cogliere il senso di valorizzazione delle notevoli peculiarità locali, e non di prevaricazione di un prodigo genius loci. Questo criterio negli anni d’inizio Novecento era assolutamente innovativo. Fagus sylvatica, il faggio spontaneo dei boschi del Cusio, ebbe come compagni le varietà “Purpurea”, “Fastigiata”, “Tricolor”, “Purpurea Pendula”. Ai castagni selvatici furono affiancate le varietà da marroni di origine francese e alle esili betulle del luogo le varietà ornamentali di Betula pendula, quali B. p. “Tristis”, “Dalecarlica” e “Purpurea”.
Come spesso succede in Italia, alla morte di Gaudenzio Tornielli questo patrimonio passato agli eredi fu lasciato progressivamente in abbandono. Gli alberi d’alto fusto sono poco sensibili alla competizione dei rovi, ed hanno continuato a crescere sino a dimensioni monumentali ma, per incuria colpevole, si sono appannati la struttura di sentieri che forma un reticolo di sette chilometri, il laghetto, il gioco di boschetti e di radure ricercato dal primo proprietario. La memoria di una passione botanica illuminata è rimasta viva sino al primo dopoguerra solo nell’attività vivaistica di riproduzione delle piante più pregiate del parco (araucarie, azaleee, arbusti acidofili crescono benissimo nel clima fresco e nel terreno acido di questa zona) e nelle grandi serre dedicate alla coltivazione commerciale delle orchidee esotiche.
Poi il silenzio. Unico frequentatore assiduo di Monte Oro è rimasto un contadino con le sue vacche e i suoi cavalli sino al 1989, anno in cui la villa e il tesoro verde che la circonda sono stati messi in vendita e offerti ad un importante imprenditore locale. “Quando ho visto il parco la prima volta mi sono messa a piangere, tanto era bello” dice la moglie, una signora minuta e sensibile che da quel momento ne è diventata il nume tutelare. Una difficile eredità, la sua, ed un faticoso impegno personale, che la natura ripaga con scenari grandiosi e mutevoli per i momenti privati suoi e della sua famiglia. Di primavera fioriscono oltre 70 specie e varietà di Rhododendron, molte delle quali non hanno più nome, anche se gli esemplari erano stati meticolosamente catalogati da Tornielli. Sono stati ritrovati solo alcuni cartellini, che fanno risalire la piantagione agli anni tra il 1904 e al 1910. Fiorisce in rosa magenta una siepe di azalee giapponesi “Amoena” lunga 50 metri e alta 5 metri, fioriscono i prati che hanno ritrovato la loro forma smagliante perchè, grazie all’accordo con un’azienda agricola del luogo, adesso vengono sfalciati quattro volte all’anno e regolarmente concimati. D’estate fioriscono le ortensie nei valloni ombrosi e Magnolia grandiflora negli angoli assolati e intanto la superficie del laghetto si copre delle corolle bianche e rosate di Nimphaea alba. D’autunno arrossano le foglie dei faggi e degli aceri giapponesi e quando, infine, il parco si concede una stagione di riposo, emergono importanti i gruppi di centenarie conifere esotiche e diventano definiti i contorni delle macchie di rododendri sempreverdi.
La villa, 1500 metri quadrati che testimoniano le pregevoli soluzioni di progettista e committente e l’abilità costruttiva delle maestranze e degli artigiani locali, intanto soffre perchè disabitata. Arroccata in cima alla collina, resta l’unico elemento inanimato nel contesto mutevole di Monte Oro.

Per il parco, una donna
Insiste a dire che l’acquisto della villa e del parco di Monte Oro è stato puramente un caso, ma in realtà ci sono coincidenze, incontri e innamoramenti ai quali non ci si può sottrarre. Le sue lacrime di commozione il giorno in cui ha visitato il parco la prima volta hanno deciso per lei e per il marito: quel luogo avrebbe rappresentato un impegno privato a mantenere in vita il patrominio vegetale voluto da Gaudenzio Tornielli. Anna è una donna semplice e immediata, nonostante la posizione sociale. Precisa e interessata alle piante, paragona il loro ciclo vitale a quello degli esseri umani, con una giovinezza, una maturità e una vecchiaia. Cerca di farsi una ragione delle sconfitte subite in questi undici anni nonostante la manutenzione, le precauzioni a non distruggere un solo filo d’erba funzionale all’economia d’insieme e il lavoro di ricerca dei nomi botanici che il primo proprietario aveva catalogato con meticolosa precisione, ma andati quasi completamente persi. Dopo cinque anni di duro lavoro di ripristino, nel marzo di qualche anno fa una tromba d’aria si è portata via una parte del boschetto di araucarie. Dice:”Non le amo particolarmente, ma in questo contesto erano spettacolari e scultoree, di certo il boschetto di araucarie più grande d’Italia. Bisogna abituarsi ad accettare la natura nel bene e nel male. Ho imparato che spesso i suoi disegni ci sfuggono, per quanto ci adoperiamo a rispettarla e a conservarla. Per esempio: quell’evento distruttore ha colpito con maggiore violenza le grandi alberature più sane. Ho impiegato molto tempo a farmene una ragione, poi ho capito che i faggi secolari con la chioma più estesa sono quelli più esposti al vento forte e corrono il rischio di essere sradicati. Ho imparato anche che nei nostri climi certi giganti, che sembrano eterni, hanno i piedi d’argilla. Il parco sta invecchiando, posso solo garantirgli una vecchiaia serena.” Dalle sue parole si capisce che, insieme alla malinconia per il tempo che fugge e per le eredità che non sempre vengono raccolte dai discendenti, c’è anche un grande ottimismo sulla collaborazione tra uomo e natura. Se non ci avesse creduto, un giorno di undici anni fa non avrebbe cominciato l’impresa, che sembrava disperata, di liberare da rovi, liane e robinie, il parco di Villa Monte Oro. L’unico giardiniere fisso, affiancato solo saltuariamente da altri, è la prova che basta la caparbia volontà di una donna, a suo modo mecenate, a ripristinare l’equilibrio naturale.

Rododendri storici
Il genere Rhododendron, oltre 500 specie che comprendono anche le azalee un tempo classificate come genere Azalea a se stante, ha dato un fondamentale contributo ai giardini ottocenteschi dell’Italia Nord Occidentale. Per il portamento, la persistenza delle foglie, la ricchezza e i cromatismi della fioritura primaverile talvolta profumata, la provenienza da paesi lontani, queste piante arbustive rispondevano alla perfezione ai canoni stilistici romantici. Il gusto per l’esotico che ha caratterizzato la concezione paesaggistica dell’epoca è stato premiato nelle zone attorno ai grandi laghi prealpini dal clima mite e umido e dal terreno morenico tendenzialmente acido e fresco, come vogliono quasi tutti i rododendri. Le grandi macchie, i viali ed i valloni interi piantati a partire da metà Ottocento si sono sviluppati con vigore e godono tuttora ottima salute. Oltre che nel parco di Villa Monte Oro, collezioni pregevoli di rododendri e azalee centenari si trovano sul Lago Maggiore a Villa Taranto (500 tra specie e varietà) e alla Villa Borromeo dell’Isola Bella, nel Parco Regionale “Felice Piacenza” o Burcina a Pollone (BI), a Villa Carlotta sul Lago di Como.
Proprio la richiesta crescente per la piantagione nei più prestigiosi giardini europei dell’epoca ha favorito la ricerca, soprattutto in Estremo Oriente, di nuove specie e la loro introduzione in coltura ha favorito la nascita di vivai specializzati nelle zone vocate, per esempio sul Lago Maggiore, dove sono state create numerose selezioni divenute famose. Purtroppo per scarsa attenzione dell’Italia all’enorme patrimonio vivaistico, nel tempo sono andati persi i nomi delle varietà e degli ibridi, come è successo a Villa Monte Oro. Chissà se un’istituzione vorrà mai accollarsi l’impegno di compiere gli studi necessari, prima che si perdano per sempre le tracce di un importante passato orticolo.

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