Judith Wade

Judith Wade è nata a Sidney da genitori scozzesi con una lunga esperienza in India. Cresciuta tra Londra e l’Australia, ha viaggiato in Sud America prima di fermarsi a Firenze dove ha completato gli studi artistici. Nel 1997 ha fondato il circuito “Grandi Giardini Italiani” che promuove con ampio successo internazionale il patrimonio culturale dei giardini della penisola.

C’è voluta una donna piena di risorse, con radici in un’altra civiltà ma innamorata del patrimonio di bellezza della nostra terra, per portare alla ribalta tanti importanti giardini storici italiani coperti dalla patina dell’oblio oppure contemporanei e sconosciuti. È una bella signora dai modi affabili e accento irrimediabilmente inglese, che indossa con eleganza naturale striminziti tailleur di colori pastello intonati al suo incarnito chiaro, ai capelli biondi e agli occhi azzurri. Dice: “A quello che faccio ci credo passionalmente, ma altrettanto con il cervello”. I suoi occhi confermano; raccontano il profondo interesse, la determinazione, l’energia, la capacità di rischiare, la trasparenza che la fa essere sempre diretta con gli interlocutori; da scozzese, a volte li investe con impennate focose, mai però con le arti mistificatorie e macchiavelliche della diplomazia nostrana che avrebbe potuto apprendere in trent’anni di vita in Italia. Aggiunge: “Mi ritengo inglese nello spirito e nell’etica, italiana a tutti gli effetti nell’entusiasmo e nella sensibilità estetica”.
Judith Wade è da poco tornata alla base comasca di Grandi Giardini Italiani, il circuito di quasi 40 giardini che è riuscita a mettere insieme dal 1997 convincendo con caparbia perspicacia i proprietari ad aprire i cancelli di tesori privatissimi. Conosceva alcuni di loro già dai tempi in cui, studentessa di pianoforte e dell’Accademia di Belle Arti a Firenze, bussava perché le lasciassero la possibilità di disegnare quel verde segreto e silenzioso. Questa volta è stata a Londra per presentare ai più quotati giornalisti inglesi di settore le meraviglie di luoghi d’Italia quasi sempre lontani dalle rotte del turismo di massa, nei quali stanno racchiusi 500 anni di storia del paesaggio, dell’architettura e di scelte botaniche quanto mai diversificate da nord a sud della penisola. Abituata a percorrere le vie del mondo portando con sé la passione per i giardini, sa che nessun altro paese può vantare altrettanto. Ha convocato i tour operator d’Oltremanica per dire che sta cercando di riproporre a misura del nostro tempo il grand tour del passato, quando il viaggio era momento di formazione, soddisfazione della curiosità culturale, conoscenza di genti diverse, fluire lento e con stile di un tempo di piacere.
Il tema del grand tour è stato argomento di una sua grande mostra nel 1999, lo ripropone con intraprendenza creativa ogni volta che si inventa nuove avventure, in Italia e all’estero: l’anno scorso ha voluto far partecipare Grandi Giardini Italiani al Chelsea Flower Show di Londra e ha portato a casa una medaglia, che è insieme riconoscimento al progettista, a lei che si è esposta in ambienti esigenti e, soprattutto, ai “suoi” giardini.
Onore a Judith Wade, ambasciatrice di un’Italia non minore ma così di rado valorizzata, che la vita di tutti i giorni e la geografia ufficiale non ci avevano mai proposto. Le siamo debitori per il prestigio solido con cui sta cercando di cancellare all’estero i luoghi comuni sull’Italia tutta moda, mafia, pizza e spaghetti.
Mentre il suo recente libro sui grandi giardini italiani sta facendo il giro del mondo nella versione inglese, adesso si prepara a partire per Francoforte, Parigi, New York e Tokio con il suo piglio gentile e battagliero: se i visitatori di giardini in Europa sono undici milioni ogni anno, lei vuole portarne la metà in questo paese. In una danza di numeri annuncia che nei primi nove mesi di quest’anno i giardini del circuito hanno ospitato 1.700.000 visitatori e che vuole riuscire a portarne presto 3.000.000 anche perché “l’apertura di ogni giardino accultura i locali”. Dice che gli inglesi ci hanno messo trecento anni per riuscirci, perciò non ha fretta, e che il processo sarebbe più rapido se non trovasse tanti ostacoli sulla sua strada.

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