Tito Schiva

Tito Schiva è nato a Bordighera. Dirige la sezione Miglioramento Genetico
dell’Istituto Sperimentale per la Floricoltura di San Remo dove è entrato dopo una tesi in Economia e una specializzazione in Genetica Applicata. Al fondatore dell’istituto ha dedicato il libro “Mario Calvino, un rivoluzionario tra le piante” (AceInternational).

Ha l’eloquio sciolto, una vivace verve polemica, farcisce i discorsi con aneddoti e aggettivazioni che denotano una fantasia degna del ruolo di ricercatore tra i fiori che si è scelto nel 1968, vincendo un concorso nazionale per l’Istituto Sperimentale per la Floricoltura di San Remo fondato da Mario Calvino. La prima polemica di Tito Schiva, direttore della Sezione Miglioramento Genetico di questo istituto, è sui tempi dell’assunzione: “Hanno impiegato 4 anni a decidere l’assegnazione del posto, così ho preso servizio nel 1972”. La seconda è sull’evoluzione di una professione che in quegli anni sembrava importante per dare impulso ad un settore dell’economia nazionale, invece è stata pressoché annullata: “Gli istituti di ricerca floricola in Italia sono in liquidazione, dall’alto non arriva più alcun input. Guardo le serre dal mio ufficio e le vedo vuote. Al massimo contengono pittospori”.
Eppure Schiva porta avanti con un ricercatore, quattro laureati e tre tecnici studi che fanno notizia, come quello recente della sperimentazione sulle piante di una proteina fluorescente isolata dalla medusa Aqueorea regia. L’idea era di usarla come marcatore molecolare per scoprire il contenuto di cannabinolo nelle piante di canapa, senza danneggiarle. Alla fine ha scoperto che fiori con petali trasparenti agli ultravioletti, come le margherite e le genziane, con questa marcatura di notte diventano florescenti. In Italia la notizia è stata svilita dai giornali parlando di fiori fluo da discoteca, ma la rivista scientifica Nature ha chiesto di poter pubblicare i dati della ricerca: un bel riconoscimento per continuare a credere nella propria attività. “Che dobbiamo farci: lavoriamo con gli OGM, che sono da cancellare”. E aggiunge, con l’ottimismo ereditato dalla madre emiliana: “Continueremo, perché noi abbiamo il filo di ferro dentro”.
Schiva è polemico per amore, un amore tradito dai tempi. I floricoltori liguri? Quelli veri sono ormai anziani e inadatti a questa epoca globalizzata. Ammesso che siano ancora liguri, una popolazione che egli ritiene estinta sia biologicamente che culturalmente. San Remo? Una cittadina dove il turismo ha reso abnormi i prezzi e i servizi; se un gruppo francese chiede di visitare il suo istituto, non sa dove mandarlo a pranzo senza spendere cifre assurde. I famosi ibridatori di garofani della Riviera di Ponente? A voler abbondare sono rimasti in tre, contando anche l’azienda che ha preferito emigrare in Costa Azzurra. I fiori fluorescenti? Avrebbero dovuto usarli per ornare il palcoscenico del festival di San Remo per tenere alta la ricerca ligure in floricoltura, invece tutto è finito in un “assordante silenzio”.
Se le cose vanno così, la fortuna di Schiva è di potersi muovere molto, anche all’estero e lavorando su progetti internazionali durante le ferie. Uno di questi, seguito come project leader, riguarda la floricoltura in India con una strategia rivoluzionaria, creando non industrie ma piccole aziende soprattutto di donne. Da poco gli hanno comunicato che concorre ad un premio speciale delle Nazioni Unite e questo basta a gratificarlo. Poi, anche se dice di sé citando Gasmann di avere il futuro dietro alle spalle, parla di progetti per la FAO in Brasile, USA e nel bacino del Mediterraneo, se Sars e attentati non bloccheranno tutto. Nel qual caso gli resterà il tempo di curare il suo giardino di Bordighera, creato attorno al 1830 e smembrato a fine secolo per far posto alla Via Romana, pochi anni dopo che Monet, ospite dei proprietari, l’aveva immortalato in una dozzina di tele. Gli restano un Pinus canariensis (monumento nazionale dal 1933), una Jubaea spectabilis “da primato” e poco più. Quasi una fortuna che “per miopia e imperdonabile incuria” questo gioiello sia stato trascurato e ora sia affidato a chi lo sa apprezzare.

3 pensieri riguardo “Tito Schiva

  1. Il problema è di facile soluzione (che si arrabbiano pure i non laureati, i vivaisti, gli architetti, i paesaggisti, giardinieri, garden designer, fioristi, o ancor peggio i laureati in lettere!!!!!!), tutte queste persone che ho appena citato NON HANNO COMPETENZE DI PIANTE!!!!!!!
    Creare un parco progettando la forma, gli interni, ma dove se anche vengono messe a dimora 1 mln di piante decine e decine di alberi, sono scelte una per una dai botanici, non dagli architetti, no dai paesaggisti meno che mai dai vivaisti o giardinieri, non fanno appunto dei vivaisti, giardinieri, architetti, paesaggisti, assolutamente conoscitori di piante!!!!! Avete mai chiesto a un giardiniere, o un architetto di spiegarvi una pianta?
    Fatelo e vedrete cosa significa non avere affatto nozioni ed idee chiare!
    Vendere le piante, o i fiori, fare mazzi decorativi, non significa conoscerle, basta una grossolana formazione, spesso sufficiente è una contadina formazione!!!!!!
    Le piante le studiano da sempre i BOTANICI, che sono anche quelli che le hanno scoperte sempre rimettendoci la vita in alcuni casi, sia spontanee che orticole, di cui determinano i metodi di coltivazione anche!!!!
    In Italia (paese malato), si è persa la cultura e il fascino del botanico, a favore di improbabili figure che (basta vedere che non esiste un solo libro di botanica e piante serio, neanche del livello per le casalinghe zitelle come coltivare le ortensie sul terrazzo, scritto da architetti, paesaggisti, giardinieri, o vivaisti, ma solo da biologi botanici), durano un due anni e che nulla hanno contribuito alla conoscenza del Regno Plantae, mi rincuora che il botanico esiste dal 1700 e ha pieno vigore, mentre queste figure dopo un anno scompaiono, ma Tito Schiva biologo botanico, ha già all’epoca portato a galla il problema in Italia!

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