Villa Taranto e questi nostri tempi

Pubblicato aprile 2005

Nuove generazioni hanno preso a carico le sorti di questo che è tra i più importanti, affascinanti e frequentati giardini in territorio italiano

Chissà se qualcuno il 18 aprile, pochi giorni dopo la riapertura dei cancelli per la nuova stagione di visite, si recherà a Villa Taranto con l’intento di rendere omaggio al capitano scozzese sepolto nella cappella mausoleo di questo giardino botanico, considerato uno dei più prestigiosi, attivi e frequentati d’Europa. Quel giorno, saranno trascorsi quarantun anni esatti dalla morte di Neil McEacharn, avvenuta il 18 aprile 1964 nel regno di piante e fiori che egli aveva creato e che trent’anni prima aveva donato allo Stato italiano per garantire la continuità di un enorme patrimonio botanico: oltre 9.000 specie di piante. L’anniversario rappresenta un momento di ricordo riconoscente nei confronti di chi molto ha dato alla causa dei giardini italiani del Novecento e alla valorizzazione turistica della sponda piemontese del Lago Maggiore. Allo stesso tempo, questa data fornisce l’occasione di ragionare su quanto vale il lavoro silenzioso dei giardinieri che hanno in consegna un sogno di piante rare e esotiche. Per materializzarlo, quel sogno, il capitano McEacharn investì buona parte del cospicuo patrimonio famigliare, acquistò piante e semi di specie (soprattutto asiatiche) che non erano mai state coltivate prima in Italia, trasferì la residenza dal castello scozzese di Galloway, dal quale proveniva, a quel promontorio panoramico sul lago e mise al lavoro per anni centinaia di maestranze. Ma dopo sbancamenti, costruzioni, semine e piantagioni, il sogno non avrebbe potuto prendere forma e conservarsi senza i giardinieri che nel tempo si sono avvicendati nella manutenzione quotidiana. Lo statuto dell’Ente Giardini Botanici Villa Taranto, che nel 1963 ha preso in gestione il giardino dallo Stato con l’appoggio di McEacharn al suo ultimo anno di vita, prevede che in organico ci siano 16 giardinieri e che abbiano il diploma di agrotecnico, e così da allora è sempre stato.

Ricambio generazionale
Nessuno oggi può più testimoniare sul ruolo del talentoso giardiniere inglese Henry Coker che sovrintese ad un manipolo ben motivato di giardinieri, né raccontare un aneddoto su passioni, competenze e manie del fautore del giardino. Della prima generazione di giardinieri non è più rimasto nessuno; nomi che erano familiari nei giardini botanici di mezza Europa, i Dante Invernizzi che si alzavano all’alba per impollinare i fiori di Victoria amazonica, ora si godono la pensione, alcuni sono deceduti, altri ormai sono ottuagenari. Un primo ricambio è avvenuto all’incirca 15 anni fa. Massimo Villani governa queste piante da un tempo appena maggiore: 18 anni; è alto e forte, e sembra non faccia alcuna fatica a eseguire i lavori di giardinaggio più pesanti. Se gli si chiede che cosa lo entusismi maggiormente, risponde senza esitanzioni che è il rapporto con i visitatori, spiare il loro stupore per la bellezza e l’ordine del luogo, rispondere alle loro domande, che però sono sempre piuttosto ricorrenti. Nella sua voce si coglie un’inflessione quasi di disappunto, come se la sua esperienza di giardiniere non fosse mai messa alla prova abbastanza da chi ammira quest’opera paesaggistica e botanica di altissimo livello accontentandosi degli aspetti più scenografici. Poco più in là Roberto Bono ascolta e annuisce. È alle prese con l’accatastamento dei ciocchi di un possente faggio di 120 anni che ha dovuto essere abbattuto perché era gravemente cariato e poteva rappresentare un pericolo per l’integrità dei visitatori. Villa Taranto è anche questo, purtroppo: come per i giardinieri, anche per le piante si deve accettare il ricambio generazionale, in questo caso a volte accelerato dalla necessità di tutelare le oltre 200.000 persone all’anno che frequentano il giardino. Dante Sarasini è qui da 16 anni: “Ho 44 anni e ho lavorato altrove prima di arrivare a Villa Taranto; ritengo un onore occuparmi non di verde qualsiasi, ma di un giardino botanico di grande prestigio internazionale. Mi piace anche non formare squadra sempre con gli stessi giardinieri, perché tra tutti noi c’è molto affiatamento, siamo amici oltre che colleghi, e lavorare insieme a rotazione rinsalda i rapporti umani. Certo che nella vita avrei potuto guadagnare di più, ma allora avrei dovuto fare il cantante”. Dante ride e scuote i capelli lunghi raccolti sulla nuca in un codino, facendo ridere anche Gino D’Amico e Alessandro Camona che stanno preparando con lui il cumulo di compostaggio con le foglie secche, ultimo ricordo dell’inverno adesso che le piante stanno formando la nuova vegetazione, fioriscono i rododendri, l’albero dei fazzoletti, i Cornus, i ciliegi giapponesi e la famosa primavera di Villa Taranto prende i colori di 80.000 tulipani e di un numero infinito di fiori stagionali, tra cui 6.000 tra cinerarie e calceolarie.

Giardinieri del Verbano
A Villa Taranto tutte le annuali vengono prodotte nei 300 metri quadrati di serre di coltura, di cui sono responsabili da poco due giovani agrotecnici, Roberto Cappellaguzzi e Andrea Gagliardi, che sembrano decisi a calcare le orme dei predecessori e, come loro, a dare un fattivo contributo alla continuità del giardino. Ma in agosto non si alzano più alle prime luci del giorno per eseguire manualmente l’impollinazione delle Victoria in sostituzione degli insetti pronubi dell’Amazzonia, che ovviamente qui non ci sono. A volte i giovani hanno la freschezza e l’intuito per trovare scorciatoie e ottenere gli stessi risultati con minor dispendio di forze, e loro hanno scoperto che l’impollinazione di questi fiori riesce benissimo anche se eseguita verso le sei di sera. Dice Roberto: “Nelle serre riproduciamo da seme e da talea anche parecchie piante del giardino, soprattutto conifere e acidofile, in parte per garantire la conservazione del patrimonio di specie rare, in parte per avere materiale per la vendita nel chiosco all’ingresso. Non ho mai fatto il conto preciso, ma nelle serre produciamo circa 20.000 vasi all’anno, tra annuali e altro”. Il capogiardiniere, presente alla conversazione, annuisce. Si chiama Franco Caretti, ha in tasca una laurea in Agraria conseguita a Milano e appartiene alla nuova leva come la maggior parte degli altri. L’unica differenza è che la sua è una storia di continuità professionale nel segno di Villa Taranto: ha raccolto il testimone da suo padre Luigi e sovrintende al lavoro anche di suo fratello Mario, che ha passato parte dell’inverno appeso ai cestelli da potatura per il riordino dei grandi alberi. Nessun giardiniere ha mansioni sempre uguali, esclusi i due responsabili delle serre, tuttavia nell’assegnare i lavori si tiene conto delle predisposizioni e delle specializzazioni di ognuno e così, per esempio, negli ultimi sei anni, cioè da quando è arrivato, è sempre Luigi Antoniatta che provvede in maggio alla messa a dimora delle dalie (una collezione di quasi 300 varietà) in sostituzione dei tulipani ormai sfioriti. Luigi, Roberto, Andrea, Franco, Dante, Alessandro, Massimo, come tutti gli altri, sono nati e cresciuti nel Verbano e hanno conseguito il diploma negli istituti tecnico-agrari locali, chi a Solcio-Lesa, chi a Crodo. Benché lo statuto dell’Ente preveda che possa essere assunto chiunque abbia i titoli, sino a quando concorreranno al ruolo di giardinieri i giovani del luogo, saranno loro ad avere la precedenza. Come se riconoscere la propria identità nell’aria e nella natura del Verbano aiutasse a comprendere meglio il genius loci di Villa Taranto e a consegnarlo vitale al futuro in ossequio ai sogni botanici di quel gentiluomo scozzese.

(approfondimento)
Dalla Scozia di fine Ottocento all’Italia attuale
Botanica, giardini e viaggi furono le grandi passioni del capitano Neil Mc Eacharn, arciere della regina d’Inghilterra e accademico linneano nato nel sud della Scozia nel 1884 e, si dice, già a 16 anni alle prese con il primo dei sette giri del mondo che avrebbe compiuto nell’arco della sua vita. Ma fu ritornando in treno da un meno avventuroso viaggio a Venezia che il caso nel 1930 gli procurò un approdo definitivo sul lago Maggiore, alla Punta della Castagnola di Pallanza. Sulle pagine del Times lesse l’annuncio di vendita di Villa Crocetta, proprietà di una signora inglese moglie del conte italiano di Sant’Elia che, prendendo le redini delle proprietà in patria dopo la morte della madre, da due anni cercava di vendere la villa senza successo. Mc Eacharn interruppe il viaggio, andò a vedere e concluse l’acquisto nella prospettiva di realizzare un grande giardino botanico di piante rare e esotiche, facendo affidamento sulla mitezza del clima del lago. Il giardino prese forma in meno di un decennio di lavori su una superficie di circa 20 ettari. Furono abbattuti gli alberi che coprivano i boschi (alcuni castagni e faggi, conservati per il loro pregio e inglobati nel giardino, sono tuttora vivi), furono eseguite ingenti opere di sbancamento e rimodellamento del terreno, costruiti un serbatoio per l’acqua del lago e una rete idrica di 8 chilometri. E sui terrazzamenti, lungo i viali, nelle vallette, in aiuole, vasche e serre vennero accolte le piante. Al regno che andava costruendo, il gentiluomo scozzese diede il nome di Villa Taranto in ricordo di un antenato, insignito del titolo di duca di Taranto da Napoleone. Quando, nel 1938, la proprietà fu donata allo Stato Italiano con il solo diritto di usufrutto per il donatore, il giardino assolveva già ad un dei ruoli previsti, la raccolta di semi di piante rare per gli scambi internazionali. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Mc Eacharn dovette lasciare Villa Taranto e tornare in patria; riprese possesso del suo regno nel giugno 1946, constatando che, affidato alle cure di una persona italiana di fiducia, il dottor Cappelletto, non aveva subito danni irreparabili. All’apertura al pubblico nel 1952, quando ormai questi giardini botanici godevano fama mondiale, fece seguito nel 1963 la costituzione di un ente giuridico incaricato dallo Stato italiano di assumere la gestione. Oggi è ancora questo ente, ridotto a quattro soci (due banche, il Comune e la Provincia di Verbania) a garantire la cura del giardino e l’apertura al pubblico. Ma lo scenario è mutato e, come afferma il direttore Roberto Ferrari, “anche i grandi giardini ora vanno gestiti come aziende che devono far quadrare il bilancio”. Le entrate sono rappresentate dai biglietti di ingresso di circa 200.000 persone all’anno e dalle vendite di piante e oggetti ricordo nei negozi interni, mentre alle uscite per la trentina di persone in organico e le necessità del gardino va aggiunto da poco l’affitto alla Società delle Entrate dello Stato. Era il cosiddetto “canone ricognitorio”, per un importo simbolico annuo di 300 euro, ora è diventata una vera e propria tassa di 90.000 euro all’anno. Le normative fitosanitarie, inoltre, impediscono gli scambi internazionali di semi, i giorni di apertura sono condizionati da un’assicurazione per i visitatori di costo proibitivo… In questa logica, il visitatore che paga il biglietto d’ingresso è parte attiva nella conservazione di questo bene di tutti. In ogni caso sino a quando non si perderà memoria dello spirito con cui il giardino è stato realizzato e delle finalità “culturali, scientifiche e didattiche nel campo botanico e agrario” previste dallo statuto dell’Ente Giardini Botanici Villa Taranto, Neil Mc Eacharn potrà riposare in pace.

(in pratica)
I consigli dei giardinieri di Villa Taranto
• Le foglie secche e i rifiuti organici dei giardini di Villa Taranto vengono raccolti in un grande cumulo a contatto con il terreno e lasciati decomporre circa un anno. Non si aggiungono attivatori, da quando i giardinieri hanno constatato che è inutile: l’opera demolitrice dei batteri avviene solo un po’ più lentamente. In seguito il composto semimaturo viene trasferito in un altri sito per essere utilizzato l’anno seguente. L’operazione serve non solo per avvicinarlo al luogo in cui troverà impiego nelle invasature e nei rinvasi, ma anche per rimescolare il materiale organico e accelerarne la completa trasformazione. Il capogiardiniere afferma che all’analisi il pH risulta pressoché neutro, nonostante la presenza di grandi quantità di foglie di castagno e di altre piante che tendono ad acidificare il composto.
• Un ottimo terriccio per tutti gli usi si ottiene mescolando il composto maturo con una parte di torba, che ha l’unico ruolo di migliorare l’aerazione delle radici.
• Il ripichettaggio delle semine va eseguito preferibilmente quando le piantine sono germinate da poco e hanno emesso una sola radice, così non si rischia di offendere l’apparato radicale ancora fragile e di provocare lo shock da trapianto. I fiori estivi per le aiuole di Villa Taranto vengono seminati in serra a fine gennaio e ripichettati in vassoi, a intervalli regolari di circa 5 cm, dopo 10-15 giorni. Per forare il terriccio i giardinieri usano un attrezzo artigianale da loro stessi costruito. È un’asse, delle stesse dimensioni dei vassoi, nella quale sono piantati grossi chiodi a 5 cm tra loro su file sfalsate, in modo da ottenere una sorta di spazzola. Un manico rudimentale dalla parte opposta alla punta dei chiodi consente di impugnare l’attrezzo con il quale diventa facile, ordinato e veloce forare il terriccio.
• Piantando piccole annuali da fiore in mezzo ai bulbi, come in molte aiuole di Villa Taranto, si ottengono diversi risultati: 1) al momento della piantagione dei bulbi, la copertura immediata del terreno, che altrimenti rimarrebbe nudo; 2) l’acquisto di un minor numero di bulbi, più costosi delle piantine di annuali, soprattutto se queste sono prodotte in proprio; 3) un aspetto fiorito delle aiuole anche quando i bulbi sono ormai sfioriti e si deve attendere che le foglie si sviluppino completamente e poi secchino.
• Sostituendo ai tulipani le dalie, le stesse aiule restano guarnite da aprile a tutto ottobre, esattamente il tempo di apertura al pubblico di Villa Taranto, dove si usa questo criterio nel cosidetto giardino delle dalie. I tulipani vanno tolti dal terreno in maggio (se hanno le foglie ancora verdi, si ripiantano in un angolo di servizio perché possano terminare il ciclo) e, dopo aver lavorato e concimato la terra, si mettono a dimora i tuberi di dalia, eventualmente con qualche fiore di fine primavera a copertura provvisoria della terra. I giardinieri di Villa Taranto non fanno germogliare i tuberi delle dalie prima di interrarli come si consiglia in genere, eppure le piante diventano robuste, anche se probabilmente fioriscono un po’ più tardi.
• Un bel vaso chiama i fiori, ma se è dislocato nel posto giusto resta bello anche vuoto, una sorta di scultura per cadenzare la scena. Visitando Villa Taranto si faccia caso all’uso accorto della vaseria di pregio (è ancora quella originale, quasi tutta marchiata Impruneta). Orci, grandi vasi sferici scanalati, urne, cassette possono accogliere un ciuffo di fiori colorati che non ambiscono a competere con il loro contenitore, oppure rimanere elegantemente vuoti.

Un pensiero riguardo “Villa Taranto e questi nostri tempi

  1. Ci andrò sabato 16/04 a visitarla finalmente.
    Non vedo l’ora di ubriacarmi di forme, colori, paesaggi fantastici.
    Genitori la domenica non portate i vostri figli nei centri commerciali, c’è un mondo incantevole da presentare loro e sicuramente vi ringrazieranno.
    Visitate i giardini.
    Complimenti.
    Maria CArla

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